Politica Kenya

Politica Kenya – L’era Kibaki

NOTA BENE: Tratto dalla tesi di Laurea Magistrale di Fabrizio Cinus dal titolo “La questione di Mandera fra Kenya e Somalia”, A.A. 2009-2010, Facoltà di Scienze Politiche, Università degli Studi di Cagliari.

  • L’era Kibaki (2002-2010)

Dopo quasi 40 anni di indipendenza e una endemica divisione tribale che permeava tutta la società, nasceva la National Rainbow Coalition (NARC), con Emilio Mwai Kibaki, appartenente alla tribù Kikuyu, come leader. La coalizione, formata da 15 partiti, riuniva al suo interno varie tribù, e alle elezioni del 2002 riuscì a diventare la prima forza in campo vincendo le elezioni. Il KANU, guidato allora da Uhuru Kenyatta, figlio del primo presidente, in quell’occasione riuscì a raccogliere solo il 31 per cento dei voti. [13] L’esperienza della NARC non durò a lungo a causa dei dissidi interni inerenti da una parte all’appartenenza tribale, che non avevano trovato soluzione con la formazione della coalizione, e dall’altra alla divisione del potere. [14]

La prima consultazione referendaria della storia del Kenya indipendente che aveva come oggetto il tentativo di riforma costituzionale venne proposta alla fine del 2005. Alcune delle proposte furono quelle che poi vennero riportate anche nel referendum del 2010, ma in quell’anno la popolazione decise per il “no”, e le modifiche proposte alla carta costituzionale vennero bocciate con il 58 per cento dei voti. Per facilitare i cittadini nel voto, le risposte vennero accostate a dei simboli che potevano essere ricordati facilmente dalla popolazione: il “sì” era identificato con la banana, il “no” con l’arancia. Le proposte di modifica non ebbero contro solo la maggioranza dei votanti, ma anche alcuni partiti all’interno della coalizione di governo, e questo causò lo sfaldamento della coalizione e la perdita della maggioranza al governo. [15]

Kibaki, per correre ai ripari in previsione delle elezioni del 2007, formò un proprio partito, il Party of National Unity (PNU), ricorrendo alla fiducia da parte di personaggi della Central Province, la sua terra d’origine, e trovando l’alleanza anche di Uhuru Kenyatta.

Le elezioni del dicembre 2007 segnano un momento particolare e tragico della storia del Kenya. I partiti più influenti erano il PNU del presidente in carica, l’Orange Democratic Movement (ODM) guidato da Raila Odinga e l’Orange Democratic Movement – Kenya (ODM-K) guidato da Kalonzo Musyoka. Anche in questo caso è possibile e importante notare, per quelli che furono gli sviluppi degli eventi futuri, la diversità di appartenenza tribale: Kibaki è un Kikuyu e Odinga è un Luo. Musyoka è invece un Kamba.

Il 27 dicembre dello stesso anno i cittadini kenyani furono chiamati alle urne per le elezioni presidenziali, per le politiche e per le amministrative. Dopo quattro giorni di spoglio la Commissione elettore del Kenya (ECK) riconfermò Kibaki alla Presidenza della Repubblica con il 47 per cento dei voti e cioè circa quattro milioni e mezzo di consensi, e “secondo classificato” Odinga con il 44 per cento dei voti e circa quattro milioni e trecento mila consensi. Uno scarto minimo, di appena 200 mila voti, grazie ad un sorpasso di Kibaki avvenuto nelle ultime ore dello spoglio. La chiara delusione di Odinga fu data anche dal fatto che a livello provinciale l’ODM si aggiudicò sei province delle otto totali, che gli permisero di ottenere una netta maggioranza in Parlamento, 100 seggi contro i 44 per il partito del Presidente. [16] Il fattore tribale è chiaro dai dati, in quanto i due candidati hanno stravinto nelle proprie province di appartenenza. [17] Le accuse di brogli non si fecero attendere da parte dello sconfitto, in particolare riguardo al fatto che in alcuni collegi risultavano più voti rispetto al numero di elettori iscritti.

A distanza di alcuni mesi da quei fatti si scoprì che sia Kibaki che la Commissione elettorale sapevano che gli scontri sarebbero scoppiati comunque dopo le elezioni, come se Odinga avesse già preparato la rivolta anche in caso di vittoria. A dimostrazione che la tensione nel Paese fosse già alta ancor prima delle elezioni si può citare il caso di un candidato parlamentare colpito da una freccia durante un suo comizio. [18]

Fatto sta che in Kenya l’anno nuovo portò sia la proclamazione sbrigativa di Kibaki alla Presidenza [19], il quale appena reinsediatosi vietò la diretta delle trasmissioni televisive e radiofoniche, sia scontri che portarono il paese ad un passo dalla guerra civile, secondo quella che è la definizione di guerra civile riportata da Carbone [20]: “… un conflitto armato che vede da una parte le autorità di uno stato formalmente sovrano e dall’altra attori non statuali che a esse si oppongono, facendo un uso organizzato della violenza, con l’obiettivo di modificare qualche aspetto dello status quo sociale, politico o economico …” Infatti in alcune zone i manifestanti attaccarono direttamente edifici dello Stato, come ad esempio le Poste. Ma questi furono anche scontri di carattere interetnico o tribale, perché i soggetti coinvolti erano i Kikuyu e i Luo, le stesse tribù protagoniste e antagoniste fin dai primi anni dell’indipendenza. I Luo non sono mai riusciti ad andare al potere, nonostante siano una delle tribù più numerose, e probabilmente la consapevolezza di dover necessariamente vincere per riuscire a migliorare le condizioni della propria provincia di appartenenza ha portato ad un forte risentimento in seguito all’ennesima sconfitta. [21]

Alla fine degli scontri i morti vennero calcolati intorno ai 1000 e gli sfollati intorno ai 500 mila. Il Presidente Kibaki e Raila Odinga hanno in seguito raggiunto un accordo con la mediazione di Kofi Annan, inviato dall’ONU, per la formazione di un governo di coalizione che vedeva, oltre alla conferma di Kibaki alla Presidenza, l’istituzione della carica di Primo Ministro, nella persona di Raila Odinga, e di quelle dei suoi due vice, Kenyatta e Mudavadi. Vicepresidente verrà nominato Kalonzo Musyoka. [22]

Visitando una zona dello slum di Korogocho, uno dei più conosciuti slum di Nairobi, è possibile ancora vedere il punto di separazione tra la zona abitata dai Kikuyu e quella abitata dai Luo, confine dove i due gruppi tribali arrivarono allo scontro durante i disordini. Intorno, a distanza di tre anni, sono ancora presenti case un tempo abitate ma che ora si presentano solo come edifici fatiscenti dati alle fiamme. Accanto alla città di Nanyuki, nella contea di Laikipia East, nella provincia della Rift Valley, è stato organizzato uno dei campi profughi, dove ora abitano ex sfollati a conseguenza degli scontri post elettorali.

La Corte Penale Internazionale ha successivamente avviato un’inchiesta per dare un nome alle persone che hanno alimentato gli scontri e scoprire chi si fosse macchiato di qualche crimine durante gli stessi. Il Procuratore della CPI Luis Moreno-Ocampo il 15 dicembre 2010 ha finalmente reso noti i nomi dei sei politici accusati di aver organizzato le violenze post elettorali. Tra questi vi sono anche personaggi di prestigio, sia dalla parte del governo che da quella dell’opposizione: Uhuru Kenyatta, che in questo governo è Vice Primo Ministro e Ministro delle Finanze; William Ruto, costretto già a ritirarsi dal Parlamento per via delle accuse mentre era Ministro dell’Educazione; l’ex capo della polizia Mohammed Hussein Ali; Francis Muthaura, che occupa il ruolo di Capo dei servizi pubblici del Kenya; il Ministro per l’Industrializzazione Henry Kosgey e il presentatore radiofonico Joshua Arap Sang. Il Presidente ha comunque dichiarato che sino a quando le accuse non saranno provate i Ministri sono da considerarsi innocenti, come loro del resto si dichiarano, e quindi non ne chiederà le dimissioni. [23]


[13] Ivi, p. 373.

[14] Da un’intervista rilasciata all’autore da Francis Kirira, District Development Officer (DDO) of Laikipia, (Assessore allo Sviluppo nella città di Nanyuki), agosto 2007.

[15] Africa South of the Sahara 2010, p. 624.

[16] Inizialmente il risultato delle elezioni parlamentari si era fermato con l’assegnazione di 99 seggi all’ODM e 43 al PNU essendo state annullate le elezioni in due constituency, quella di Kilgoris, nella Rift Valley Province, e quella di Wajir North, nella North Eastern Province. Le elezioni vennero ripetute a distanza di qualche mese e a Kilgoris vinse il PNU mentre a Wajir North vinse l’ODM. Office of Government Spokesperson, Election Results 2007, www.communication.go.ke.

[17] http://www.communication.go.ke/elections/province.asp.

[18] Daily Nation (Kenya), 18 luglio 2008.

[19] Il risultato delle elezioni non venne peraltro modificato dalle indagini compiute dalla Commissione Elettorale, il cui Presidente Samuel Kivuitu ammise l’esistenza di errori nel conteggio dei voti, ma questi, essendo “solo” 50 mila, di cui circa 29 mila per l’ODM-K, circa 21 mila per il PNU e circa 8 mila per l’ODM, non potrebbero influire sul divario di 200 mila voti inizialmente esistenti tra il partito del Presidente e il partito di Odinga.

[20] G. CARBONE, op. cit., p. 93.

[21] B. BERNARDI, Nel nome d’Africa, Ed. Franco Angeli, Milano 2001.

[22] Africa South of the Sahara 2010, pp. 625-626.

[23] Agenzia Fides, http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=35248&lan=ita,16 dicembre 2010.